Facile ora.
Dare la colpa alla Brexit.
Che come un ombrello, ha l’amaro destino di coprire un po’ tutto, anche le magagne di gestione.
La notizia è questa: Jamie Oliver è sommerso dai debiti.
Premessa, chi è Jamie Oliver.
Chef inglese, arrivato alla notorietà grazie a un’esposizione mediatica senza precedenti – anzi, i precedenti e i seguaci ci sono in abbondanza – con programmi televisivi in onda sui canali digitali tipo Gambero Rosso, pile di libri di ricette più o meno azzeccate ma dal packaging indovinato, creatore di un format di cucina particolare, il ‘The Naked Chef’, precursore di un certo modo di fare cucina, un po’ sbruffone, a volte forzatamente eccentrico, ma tanto tanto telegenico.
Sopratutto, anche grazie a buoni consulenti di immagine e abilità organizzativa, totalmente devoto al fare marketing col cibo.
In pochissimi anni, apre uno, due, dieci, decine di ristoranti e catene – si, addirittura passa ad aprire intere catene – nel Regno Unito e poi via via in tutti i paesi del mondo.
Se amate il personaggio, e i dettagli, qui l’articolo del Gambero Rosso che fa per voi.
Personalmente, lo osservo da anni, praticamente da quando è sbarcato sui canali del digitale italiano.
L’ho adorato, ma nel tempo ho imparato a conoscerlo meglio.
E, non me ne vergogno, ho persino acquistato uno dei suoi libri, ‘Viaggio in Italia’, sull’onda di una sua stagione interamente dedicata al suo tour in Italia, attraverso paesini, contadini, pescherecci, provando a replicare il suo modo di cucinare dentro le case degli italiani veri, affrontando le vere ricette di casa nostra.
Detto questo, avrei anche argomenti per parlare.
Qualcosa vorrei dirla in proposito.
Come non era tutto oro, o talento, quello che luccicava, non è ora tutto Brexit quello che smette di brillare.
Se tu cresci così rapidamente, con numeri così sproporzionati rispetto al tempo di permanenza del tuo brand, ti esponi anche a un grande rischio dietro l’angolo.
Prima di tutto, che l’effetto ‘euforia’ dato dalla esposizione televisiva col tempo si appiattisca, si venga in qualche modo ‘assimilati’ dal pubblico.
Lo stesso pubblico che, prima ti osanna e poi, compreso il personaggio, inizia a fare i conti con la tua cucina, e con ciò che il tuo brand davvero trasmette.
Siamo sicuri che la stessa idea di brand – ovvero il ‘personal appeal’ generato da Jamie Oliver in quanto tale – possa applicarsi indistintamente a tutti i mercati, e a tutti i tipi di pubblico, semplicemente cambiando qualche elemento grafico, o riadattando le ricette tradizionali dei paesi al proprio stile?
Siamo sicuri, anche, che il proprio stile – leggiamola anche così – possa andare bene un po’ per tutti i gusti?
Ricordo, a chi l’avesse scordato, che Jamie Oliver è sempre quello che ha cercato di proporre al pubblico straniero la ‘carbonara con il chorizo’ come ricetta autenticamente italiana.
Più altre decine di castronerie che ometto di raccontare.
Ovviamente le reazioni in Italia non si contano, basti pensare alla levata di scudi per Cracco e il suo aglio nella carbonara.
Ma all’estero credono a tutto quello che gli si propone?
La verità, per quanto scomoda, è anche un’altra. O meglio, ci sono diverse verità.
Che presto o tardi, l’incoerenza del tuo brand, se fondato su presupposti esclusivamente legati all’immagine e all’impatto mediatico, rivela uno a uno tutti i suoi limiti e svantaggi, e ti presenta il conto.
Nel Regno Unito, in particolare, è dove l’eccessiva spinta alle aperture ha generato, a fronte di incassi subito rapidi, ma altrettanto rapidamente in contrazione, le spese fisse più elevate.
Che la gestione di un brand ha bisogno di aria, di respiro, e non soltanto di cavalcare le mode.
Utilizzare l’onda televisiva come unica spinta di crescita – tenendo fermo il fatto di saper cucinare – pur affiancandola a un marketplace di tutto rispetto (libri, corsi di cucina, riviste, linee di padelle) non può e non deve bastare per ottenere una solidità di marchio a lungo termine.
All’estero, e in particolare nei paesi anglosassoni, è più spiccata l’attenzione al marketing e alla crescita del business, piuttosto che alla qualità reale della propria ristorazione.
E’ un dato di fatto, in Italia il cibo viene prima del resto.
Occorre, purtroppo mi trovo a ripeterlo spesso, osservare il mercato in modo costante, e guardare ai propri competitori con la bilancia sempre nelle mani.
Ad esempio, la frase che sento ora, “acquistare i prodotti italiani è sempre più oneroso”, credetemi è una balla.
Era oneroso anche prima, ma è dimostrato che in moltissimi locali della catena ‘Jamie’s Italian’ sono stati utilizzati prodotti distribuiti all’estero e nel Regno Unito, con tassazione doganale inferiore, e rivendendo le ricette come autenticamente italiane.
Perdere di vista la gestione dei conti, è semplicemente il primo e grande errore.
Diciamola tutta, il caso è un esempio da tenere in conto.
Il ragazzo ha creato un gran bel brand intorno a sé, ma negli anni successivi il fatto di ‘crescere troppo in fretta’, l’assoluta ingordigia di marketing per fare grossi numeri lo ha letteralmente bollito.
E questi grossi numeri, o li governi personalmente, oppure devi avere una catena di controllo oliata alla perfezione.
Serva di lezione, e non solo per la ristorazione.