Instagram, alla fine ci sono cascato anche io, qualche anno fa.
Ricordo la prima foto che ho postato su Instagram, credo nel Maggio 2014 (non sono uno dei primi utenti, ci ho messo un po’ a farmi convincere).
Oggetto della foto: un piatto di spaghettoni alla gricia, rigorosamente homemade.
Beh, da appassionato di cucina, magari lo scatto non era ancora dei migliori, però di sicuro la pasta era un gran piatto.
Ah, voi milanesi: vi invito a fare una gricia come Dio comanda.
A dire il vero, era un’immagine piuttosto scorretta: sovraesposta, troppo contrastata (ammetto di aver esagerato poi in post-produzione), e con la luce un po’ così.
Quanti like ho preso? 2.
E sono sempre lì, a ricordarmi di quella prima foto.
Però quella foto per me resta ricca di significato.
Perché stranamente quel piatto quasi aveva trasformato la mia fame di quel momento, troppo assorto nel cercare lo scatto giusto tanto che mi ero quasi assuefatto alla vista, che ho poi perso l’appetito estraniandomi da quanto ci fosse davvero nel piatto che stavo inquadrando.
Pensandoci oggi, a distanza di qualche anno, ritrovo la stessa sensazione osservando moltissime immagini di food su Instagram.
Cercando nei post usando l’hashtag #food, #foodlover, #foodporn, e compagnia, non si resta poi così sorpresi.
Noi tutti mangiamo prima con gli occhi, e vedere immagini di cibo può scatenare emozioni fisiche reali, ma anche la pubblicazione può essere fonte stessa di piacere.
Ritrarre il cibo prima di consumarlo amplifica l’atto stesso del consumo, ne crea una premessa, e contribuisce a un’esperienza gastronomica più coinvolgente.
E ormai anche i ristoranti misurano il grado di food experience attraverso il livello di interazione e condivisione delle immagini dei loro piatti.
Ma deve essere tutta qui l’esperienza con Instagram e il nostro rapporto (sano ma non troppo) col cibo?
Perché è comune ormai il fatto che l’azione di scattare foto al piatto non sia più soltanto un atto accessorio dell’esperienza, ma rappresenti a tutti gli effetti l’atto stesso di consumare il cibo, e parte essenziale di ciò che poi si mangia.
Prima di consumarlo, via un bello scatto e postiamo una storia.
(tristezza)
Una blogger tempo fa mi ha detto che aver preso subito dopo un treno di like alla sua foto l’ha fatta sentire sicura che ciò che aveva ordinato era stato apprezzato dal pubblico.
Le calorie da sole non bastano, se non si reggono su una bella foto.
Se ci affidiamo però a un mood sub-culturale del genere, è sicuro che stiamo in qualche modo corrompendo il sano rapporto con il consumo e con noi stessi, una nuova forma di edonismo che passa attraverso l’obiettivo.
Mi chiedo: se non avesse preso abbastanza like, sarebbe cambiata la sua percezione di quel piatto?
La cultura dietetica degli ultimi anni – e non parlo del corretto regime alimentare da seguire, ma di ben altro – ha deformato questo rapporto, facendo diventare il cibo intrinsecamente cattivo, e che per consumarlo serva quasi un permesso attraverso commenti e like appunto.
Stiamo quindi cedendo a Instagram la patente per validare le nostre scelte alimentari, ma proprio perché deformata dalla lente dei social, ciò che finiamo per mostrare è solo uno scorcio di ciò che sono le nostre scelte, e non una rappresentazione completa della nostra esperienza di tutti i giorni, food o non food.
Per alcuni, Instagram finisce addirittura con il riempire alcuni bisogni attraverso il cibo che appare sano e salutare.
Nella nostra cultura ossessionata dalla salute e dal sano, il postare foto di cibo sano assolve il senso di colpa provocato dal consumare cibo contrassegnato come insano, vedi ad esempio il junk food trasformato poi in cibo vagamente sano, e assolverci così bonariamente dalle nostre trasgressioni.
Uno studio del 2017 ha rilevato che un uso elevato di Instagram può rinforzare l’ortoressia, un disturbo alimentare (peraltro non ancora riconosciuta come patologia) che consiste in una forma di attenzione abnorme e irragionevole verso le regole alimentari, la scelta del cibo e alle caratteristiche dei prodotti.
C’è stato un momento nella mia vita professionale e personale in cui ho dato più importanza ai contenuti a tema salute, o wellness, ma a dire il vero non rappresenta proprio la mia tendenza in fatto di scelte alimentari: a me piace la carne, le ricette caserecce, rustiche e anche veraci, e ho una fissa totale per gli hamburger, dei quali credo di aver individuato anche una certa tecnica di progettazione.
A dire il vero, le vite e le scelte di coloro che postano regolarmente immagini meticolosamente curate nello stile mi appaiono artefatte, come se il diktat imposto dalle audience di Instagram richiedesse in cambio una iper costruzione visiva di tutto ciò che ci circonda.
Una pasta alla carbonara, per quanto la puoi impiattare con stile iper-realista, resta sempre una carbonara.
Ciò che rende Instagram così potente nel food è la sua capacità – innata o indotta dagli utenti – di mescolare insieme advertising e contenuto organico, spesso attraverso gli influencers che sono pagati per promuovere i marchi in un modo che sembri assolutamente naturale, come pubblicare foto di qualcuno che sta facendo colazione.
Le cose però non sono sempre come appaiono.
Instagram è nato come piattaforma di condivisione immagini familiari e di amici, ma il suo valore attuale nelle dinamiche di marketing è sotto gli occhi di tutti.
Anzi, diciamo che si riduce a ciò che è: marketing. Stop.
Un’immagine molto vibrante nei colori che mostra una bowl piena di smoothie alla frutta può essere resa più accattivante citando i marchi coinvolti, ma resta pur sempre una bella immagine anche senza la sovraesposizione all’advertising applicato.
Aggiungi a questo il fatto che Instagram suggerisce nel feed i contenuti simili a ciò che abbiamo apprezzato nel passato, con like e follow, e il nostro account diventa ben presto una billboard pubblicitaria praticamente infinita.
Durante le mie giornate più disordinate in fatto di cibo, ho guardato spesso a Instagram per capire cosa fosse per me ‘healthy’, sano, oppure socialmente accettabile da mangiare.
Ma perché succede questo?
Gli influencers, sia chiaro, NON sono esperti di nutrizione.
Loro pubblicano le immagini per engagement, e non per offrire dei consigli utili di nutrizione ai loro utenti.
Spesso i suggerimenti che ‘regalano’ sono conditi da una grande dose di disinformazione, e tendono piuttosto a incoraggiare alcune fobie in fatto di alimentazione.
Dopo tutto, diciamocelo, essere ossessionati dal cibo salutare è di per sé una cosa del tutto non salutare.
Io detesto in ogni caso le prese di posizione, gli integralismi alimentari e non, sia visivamente che nei contenuti.
Le cose non stanno come le vediamo tutti i giorni sui feed Instagram, sono diverse dal paradiso artificiale del cibo ‘healthy’.
Instagram è una delle ragioni per cui il termine foodporn ha avuto accesso al mainstream, e gode oggi di un certo credito.
(ci ho fatto un articolo pure io, su come utilizzare le immagini, puoi leggerlo qui)
Scatti di porzioni perfette generano migliaia di like, ma dietro sappiamo bene che c’è sempre la finzione per ottenere engagement.
Molti instagrammers non mangiano davvero il cibo che condividono nelle immagini, postano le foto perché fa figo, perché è di tendenza, è più una questione di attrazione dei contenuti, che di vero cibo da mangiare.
Mangiare questo, e postare quello in un certo modo, ti rende un influencer con un migliore target da soddisfare.
In nessun modo le persone che stanno ritraendo le dozzine di cheeseburger sul tavolo, o pizze grandi come tombini stanno davvero consumando quel cibo, mostrare l’eccesso è così cool e necessario per quella immagine, che poi quasi sempre tutta quella roba finisce nella spazzatura.
Quando noi veniamo così pesantemente inondati di informazioni e stimoli abnormi all’interno di una cultura della dieta, e abbiamo poi bisogno di chiavi di lettura per comprendere cosa veramente stiamo mangiando, noi perdiamo la connessione emozionale con il nostro corpo e organismo, e smettiamo di cibarci per stimolo naturale, che è come mamma ci ha fatti.
Può esserci una via d’uscita a questo corto circuito.
Dobbiamo iniziare a osservare con uno sguardo diverso, facciamo attenzione a come ci sentiamo quando scrolliamo il feed di Instagram e ci imbattiamo in qualcuno che ci influenza in modo negativo.
Variare e scansare i feed e le bacheche dei social con persone che non ci fanno sentire a posto con il nostro corpo e le nostre scelte alimentari è sicuramente un ottimo punto da cui partire.
Negli ultimi mesi, rispetto ai primi post con piatti di vario tipo e ricette, la mia relazione personale con Instagram è cambiata, in meglio.
Intanto, concentro la mia attenzione e le mie energie su ciò che davvero comunica il mio brand, e come questo si connette al mio pubblico ideale – packaging, design, locali che trasmettono un’innovazione e scelte precise e ben definite – e riguardo alle foto di cibo tendo a seguire soltanto gli account che mi fanno sentire a mio agio col cibo che viene rappresentato.
Sono sincero, è un cambio di passo che aiuta molto, e dovresti farlo anche tu.
E se casomai mi viene la tentazione di farmi un bel risotto, magari preparo anche uno scatto degno di nota, ma poi il risotto me lo mangio senza troppe menate.